SI DICE UXORICIDIO COMUNQUE
Sto andando a fare la spesa come ogni mattina e giuro che se quell'impunito del macellaio della Conad mi dice “Cosa diamo a questa bella signora?” gli sputo diritto in un occhio. Bugiardo. Bella signora a chi? Non sicuramente a me che ho le occhiaie che toccano terra, la pancetta che deborda di profilo e i segni labiali che partono dal naso, profondi come i canali di irrigazione della Val Padana. Che poi stamattina la carne non mi serve nemmeno perché ci ho fatto la scorta sabato scorso con il Giulio che ha voluto andare all'inaugurazione del nuovo mega supermercato che hanno aperto vicino a Borgo Valsugana. Quando ha visto il banco della carne ha avuto un orgasmo papillare multiplo, condito da gridolini di sorpresa per via dei prezzi che, a detta sua, erano assolutamente “i più bassi in assoluto che abbia mai visto” che poi, a voler approfondire, mi piacerebbe sapere rispetto a quali, visto che lui la spesa non la fa mai. Ma non gliel'ho chiesto e l'ho lasciato riempire il carrello di fettine, arrosti, puntine, macinati, pollame. Al tacchino intero, tipo Festa del Ringraziamento, ho posto l'alt perché abbiamo un freezer a conduzione familiare e non una cella frigorifera. Si è arreso senza combattere e io mi sono vendicata con una bella scorta di detersivi e detergenti che ora potrei mettere in piedi un'impresa di pulizia.
La chiamo spesa, ma poi in fondo compero soltanto quelle due o tre cose che ho dimenticato la volta prima. E non mi piace neppure tanto andare al supermercato, ma questo è piccolino, è sotto casa ed è un'ottima scusa per uscire a fare due passi evitando così di finire davanti al televisore per sorbirmi Unomattina. Almeno così ci finisco un'oretta dopo, bell'e pettinata, con un filo di trucco e con un vestito decente e non in pigiama con i segni del cuscino ancora sulla faccia.
Ieri ho dimenticato gli stuzzicadenti e il dentifricio sbiancante per Giulio. Non serve nemmeno il carrello, un giretto rapido fra gli scaffali e, dribblando la postazione del bugiardo patentato che se la sta facendo con un'ottantenne, pago ed esco.
Fuori c'è il sole delle nove di mattina di un giorno di luglio. Bello, mi piace, quasi quasi mi concedo una sosta al bar dell'Ezio per un cappuccino e un cornetto e così mi leggo pure il giornale senza comperarlo. Ai tavolini esterni non c'è molta gente, è ancora presto per l'aperitivo e tardi per la colazione dei mattinieri, l'ambiente ideale per una che non ha voglia di scambiare chiacchiere con alcun vivente, almeno fino all'una quando mi tocca interagire con Giulio che torna a casa per il pranzo. Che palle quest'abitudine dell'orario spezzato, non potevo avere anch'io un marito che fa il suo bravo continuato così stavo più leggera a pranzo, sarebbe bastata un'insalatina, invece no: pastasciutta, secondo con contorno e qualche dolcetto per quando si sveglia dal pisolino post-prandium davanti al tiggì. E io mica posso stare lì a guardarlo e allora primo secondo e dolcetto mi spettano d'ufficio con il risultato che ho scoperto di avere la cellulite anche sulle braccia. Per fortuna non abbiamo figli, non ne abbiamo voluti e non li abbiamo cercati e ora, neanche volendo, potremmo averne uno, per raggiunti limiti d'età e perché l'amore non lo facciamo da mesi e dunque la procreazione è ardua, ma va bene così. Me lo faccio andare bene e finora ha funzionato.
Il giornale è un bollettino di guerra: guerre vere, morti sulle strade, nelle case, stupri e governi folli. Do una letta sommaria ai titoli e non approfondisco perché tanto fra qualche ora mi dirà tutto il tiggì e mi dirà anche che Briatore e consorte sono ancora in vacanza e io l'invidierò lavando i piatti e per un attimo mi verrà voglia di andare in soggiorno e soffocare con il cuscino quel signore colla pancia che si è appisolato sul divano e che con Briatore ha in comune la pancia, per l'appunto, e il titolo di studio. Sono entrambi geometri. Io sono ragioniera come la Gregoracci e abbiamo lo stesso nome, Elisabetta l'unica differenza è che noi in vacanza non ci siamo ancora stati quest'anno, se ne parlerà a settembre quando Giulio si prenderà le ferie. Quindici giorni in quel magnifico alberghetto di Jesolo a pensione completa, dove io mi sentirò un virgulto a paragone delle altre ospiti per lo più sui settanta ed esibirò fiera il mio adipe e la mia cellulite sotto gli occhi vogliosi dei loro consorti ottantenni. Bisogna imparare a vedere le cose dal lato positivo, penso, mentre apro la cassetta della posta e fra la bolletta dell'enel e della telecom c'è la busta dell'assicurazione da pagare.
Vediamo a quanto ammonta quest'anno, ma non è la rca auto, bensì un'assicurazione sulla vita che il mio maritino previdente ha acceso ben dieci anni fa, a mia insaputa. Prevede un milione di euro in caso di invalidità permanente e cinquecentomila euro in caso di morte, il tutto intestato a tale Elisabetta Pomini in Vigana nata a Trento il 02/09/1953, cioè io?
Chiaramente. E chi se no? Ma perché non me l'ha mai detto? Ha forse paura che l'ammazzi per riscuotere il premio e andarmene in Messico con l'amante? Impossibile perché io non ho un amante e, anche volendo, dove lo trovo un amante con la faccia che mi ritrovo? Magari un vecchio lo trovo, ma non posso andare in Messico a fare la badante a un vecchio, che senso avrebbe?
Però Ezio prima al bar, mi guardava in un certo modo. Non mi risulta che sia sposato, non è malaccio, non è vecchissimo. Potrei chiedergli di venire in Messico con me, magari partiamo come amici e poi se capita, bene, altrimenti ognuno per la sua strada, ma intanto mi sono ambientata e ho fatto pure qualche amicizia.
Non conosco lo spagnolo, altra lacuna da colmare. Beh, lo imparo, cosa ci vorrà mai e poi assomiglia tantissimo al dialetto trentino, sono pure avvantaggiata rispetto a una milanese o a una romana.
Sono talmente presa dalle mie fantasie che mi dimentico pure di accendere la tivù. Pover'uomo però: lui pensa al mio futuro in caso di sua dipartita prematura e io sono qua che organizzo la mia vita come se fosse già successo. Poco male, in fondo non faccio del male a nessuno, fantastico un po' una vita diversa che mi toglie pure da Unomattina.
A dirla tutta Giulio non mi sembra poi così felice. Nella ditta in cui lavora dice che non l'apprezzano abbastanza, non vede l'ora di andare in pensione per poter costruire i suoi modellini d'aereo e io già immagino il salotto pieno di quei cosi, perché non avrà più la premura di andarsene in garage, mi invaderà la casa. Troverò fusoliere anche in frigo e poi me la scordo la tivù di mattina perché lui dice che è cosa da frustrati, come se non fossimo due frustrati da sempre. Se dipartisse, troverebbe un mondo migliore, senza problemi e io me starei un po' tranquilla a mangiar patatine in Messico in attesa di raggiungerlo, il più tardi possibile.
E poi non lo amo più, forse non l'ho mai amato, anzi mi dà fastidio pure come mangia, è così rumoroso!
Mentre preparo il tavolo penso che però una chance gliela devo. Faccio così. Se quando arriva a pranzo, mi dice che sono più carina del solito, lascio perdere tutto e dividerò con lui i trent'anni che ci rimangono, si è pure allungata l'età media, se non mi dice nulla deciderò il da farsi. A pensarci bene sono circa vent'anni che non pronuncia una frase del genere e allora decido di andargli incontro, truccandomi e pettinandomi in maniera diversa e indossando un vestito che mi stia particolarmente bene.
Mentre sono intenta al restauro penso di sacrificare parte dell'eventuale quota per un buon lifting, perché un conto è andare in Messico con sta faccia, un conto è andarci tutta bella tirata e poi c'è da considerare un guardaroba nuovo, ma sono particolari che perfezionerò in corso d'opera.
Risultato immediato: una pasta scotta servita da un'invitata a un matrimonio.
Giulio: Questa pasta fa schifo, lo sai che mi piace al dente.
Io: Lo so amore (ops, mi è sfuggito), ma mi sono persa un attimo in bagno.
Giulio: E dovevi pulirlo proprio adesso?
Io: Non lo stavo pulendo, mi stavo rassettando (dai Giulio coraggio, basta poco e hai davanti ancora almeno una ventina d'anni)
Giulio: Non potevi farlo dopo?
Io: Era necessario lo facessi adesso (guardami, guardami)
Giulio (con gli occhi fissi sul tiggì) Diventi sempre più matta, dovresti trovare qualcosa da fare. Che ne so, un volontariato.
Io: (ti potrei strozzare ora) Sì, si ci penso. Oh guarda, mi è spuntato un brufolo (alza quegli occhi perdio)
Giulio: Che schifo, sto mangiando
Io: Ok , te la sei voluta
Giulio: Che dici?
Io: La cotoletta con il purè
Mi alzo, vado al fornello e sbatto quella maledetta cotoletta sul piatto piano e la guarnisco con il purè. Avessi dell'arsenico glielo spolvererei sopra subito, ma non ce l'ho e allora gli porto il piatto e me ne vado in bagno mentre lui è alle prese con la campagna elettorale di Obama.
«Signor Giudice, io ho provato a far sì che si salvasse, ma non c'è stato verso. Voleva morire». Mi ripasso la parte davanti allo specchio, magari non mi riesce il delitto perfetto e in quel caso potrò sempre cavarmela con la semi infermità mentale perché ora ho deciso che Giulio deve morire. Devo solo pensare come.
Quando esco dal bagno lo trovo già agonizzante di sonno sul divano ma prima di svenire, mi guarda (miracolo!) e dice: «Perché ti sei conciata così?» chiude gli occhi e inizia il ronzio fastidioso.
Lo ammazzo, ma prima lo torturo.
Mi rimetto la solita vestaglietta e mi appronto a rigovernare la cucina, badando di far più rumore possibile, sono troppo arrabbiata e l'effetto che sortisco è quello di farlo alzare incazzato enunciante la frase :Il caffè lo prendo a bar.
Finalmente sola ho tutto il tempo di studiare un piano per farlo fuori e passo in rassegna tutte le ipotesi possibili. Deve essere un delitto perfetto che sembri un incidente. Escludo subito il veleno. Mi morirebbe in casa e gli farebbero l'autopsia e io verrei interrogata e confesserei subito e non mi servirebbe a nulla e potrei dire addio ai cinquecentomila. Armi bianche, neanche parlarne, il sangue mi fa impressione e poi anche lì quando? Mentre dorme?
Scartate un milione di ipotesi mi resta l'incidente in montagna, un bella spintarella davanti a un precipizio et voilà, niente di più semplice. Si tratta solo di arrivarci in montagna, con quale scusa ce lo porto se sono almeno cinque anni che non ci andiamo?
Mentre gratto con la spugnetta abrasiva, ma non troppo, il fornello dai residui del caffè e dell'olio delle cotolette, mi si affaccia l'illuminazione. Simona Ventura, sì la Ventura sarà la chiave di volta, grazie a lei io diventerò una vedova ricca e con la faccia tirata al punto giusto, magari mi potrebbe pure indicare il suo chirurgo, ma non divaghiamo.
Si dà il caso che la Simo sia l'idolo in assoluto di Giulio e per mia immensa fortuna, stamattina sul giornale del bar ho letto che lei è qua dalle mie parti per prepararsi all'isola dei famosi con tutto il suo seguito di aspiranti naufraghi.
Il massimo della fortuna consiste nel fatto che lei è in MONTAGNA, in un posto che per arrivarci c'è una strada sterrata a strapiombo e poi là intorno sarà pieno di strapiombi. L'idea è ottima, si tratta solo di comunicarla a Giulio e fargliela accettare.
Passo il pomeriggio in una sorta di frenesia adrenalinica, non mi riesce di combinare niente in questa mia nuova veste di aspirante uxoricida, chissà perché bisogna usare un termine nato per i mariti assassini, e girando per la casa mi provo le varie parti che via via dovrò interpretare.
Persuasora occulta, ma neanche poi tanto occulta: Lo sai che c'è la Ventura a Molveno? Perché non ci andiamo così ti fai la foto con lei?
Moglie disperata che ha appena visto il marito sparire in un precipizio: Aiuto 118, correte. Mio marito è caduto e non lo vedo più.
Vedova inconsolabile: Era un brav'uomo, non mi ha mai fatto mancare nulla.
Ci amavamo tanto.
La parte che mi viene meglio direi che è quella della vedova, in fondo dico la verità. Giulio non è cattivo, un po' distratto forse e ha sempre portato i soldi a casa senza mai chiedermene conto. In quanto all'amore, non a caso la forma è al passato.
Finalmente arrivano le otto e sento girare la chiave nella toppa. Ho preparato una cenetta gustosa per predisporlo al meglio e al terzo bicchiere di vino che gli verso, Giulio è persino allegro.
«Devo chiederti una cosa», dico
«Ok ok, ma prima ti annuncio che sabato si va a Molveno. C'è la Ventura con quelli dell'Isola dei famosi e ci terrei tanto a vederla. Quando mai mi ricapita un'occasione simile? Ma che volevi dirmi?» fa lui.
Rimango di sasso e decido di sfruttare quest'ottima occasione. Se decide lui, almeno mi è risparmiato di convincerlo che poi mi vengono gli occhi velati, come sempre quando mento e mi sembra che possano vederli tutti anche se poi lo so solo io.
«Se mi accompagnavi al centro commerciale sabato, ma se c'è la Ventura ci andremo un altro giorno» mento
«Ecco si, un altro giorno» mi dice Giulio e si sprofonda nel tiggì.
Il sabato mattina sono agitatissima e provata da una notte praticamente insonne passata a fare congetture. Saliamo in macchina e Giulio è euforico all'idea di incontrare il suo idolo, deduco.
Decido di farlo morire contento, cioè prima lo lascio conoscere Super Simo e poi, al ritorno, gli chiedo di fermarci a vedere il panorama e gli do una bella spintarella, giù per questo dirupo che proprio ora stiamo rasentando per raggiungere località Pradel dove si trova l'albergo dei Famosi.
Davanti all'Hotel Piccola Baita c'è una folla di persone e infatti fatichiamo non poco per trovare un parcheggio. Urge qualcosa di forte e allora, con la scusa di dover andare in bagno, vado al bar dell'Hotel e mi ordino un bell' amaro di erbe alpine.
Il liquido va giù che è una meraviglia, mi rinfranca un po' e torno fuori sul piazzale in tempo per vedere Giulio, tutto emozionato, che sta parlando con il suo idolo e si sta facendo fare pure l'autografo. Allora mi avvicino, ed estraendo la macchina fotografica dalla borsa, chiedo alla Simo se posso farle una foto con mio marito. Giulio mi guarda piacevolmente sorpreso e poi si mette in posa per l'ultima foto da vivo.
«Certo che è più bella in tivù», mi dice mentre risaliamo in macchina per tornare in valle.
«Le luci e tutto il resto aiutano molto», dico io e poi aggiungo:«Perché non ci fermiamo lungo la strada per guardare il panorama? E' mozzafiato».
«Volevo proportelo io», fa lui e potrebbe anche essere la sua ultima frase.
Lungo la strada si ferma a un piccolo spiazzo e scendiamo. Ho il cuore a mille, ma ormai ho deciso che la mia vita deve cambiare, solo l'idea di tornare a casa e riprendere il solito tran tran mi dà la nausea. Ora o mai più. Mi avvicino a Giulio e faccio per abbracciarlo, ma la mia intenzione è quella di dargli una spinta e farlo precipitare perché il momento e la posizione sono perfetti. In quell'istante, però, passa una macchina e io devo desistere per un attimo dal mio proposito. Giulio sembra non essersi accorto di nulla, si gira verso di me, mi preme una mano sulla schiena e poi dice:
«Scusa Elisabetta, ma mi sono proprio rotto le palle».
Sto volando e fra un po' mi sfracellerò là in fondo e non doveva andare così, non doveva assolutamente andare così.
Aiuto 118 correte. Mia moglie è caduta e non la vedo più.
Ciao cara, sono io Giulio. È fatta. Ancora qualche mese e avremo cinquecentomila euro tutti per noi. Ti amo, sì.
Accidenti a me. Beneficiaria doveva esserci scritto non intestataria della polizza. Ti vedo Giulio da quassù, non te la farò passare liscia. Ero io che dovevo andare in Messico. E poi chi sarebbe sta cara? Avevi un' amante allora? Ecco perché non mi guardavi più.
Lo sai come si chiama quello che hai fatto? Uxoricidio, si chiama uxoricidio, perché io ero tua moglie.
Ma la cosa strana è, che se ti uccidevo io, si sarebbe chiamato uxoricidio comunque.
Per estensione recita il vocabolario.